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Hi there, I'm the author of the textes and the photos that you'll find in this blog (unless specified differently). Please give me notice if you wish to use any of them. feminismus.und.alpinismus(at)gmail(dot)com

23.9.18

Lost and found: On White Fragility, 07.2018

"[...] The academic and educator Robin DiAngelo has noticed that white people are sensationally, histrionically bad at discussing racism. Like waves on sand, their reactions form predictable patterns: they will insist that they “were taught to treat everyone the same,” that they are “color-blind,” that they “don’t care if you are pink, purple, or polka-dotted.” They will point to friends and family members of color, a history of civil-rights activism, or a more “salient” issue, such as class or gender. They will shout and bluster. They will cry. In 2011, DiAngelo coined the term “white fragility” to describe the disbelieving defensiveness that white people exhibit when their ideas about race and racism are challenged—and particularly when they feel implicated in white supremacy.[...]

In a new book, “White Fragility,” DiAngelo attempts to explicate the phenomenon of white people’s paper-thin skin. She argues that our largely segregated society is set up to insulate whites from racial discomfort, so that they fall to pieces at the first application of stress [...]

To be perceived as an individual, to not be associated with anything negative because of your skin color, she notes, is a privilege largely afforded to white people; although most school shooters, domestic terrorists, and rapists in the United States are white, it is rare to see a white man on the street reduced to a stereotype. Likewise, people of color often endure having their views attributed to their racial identities; the luxury of impartiality is denied them.[...]"

from "A Sociologist Examines the “White Fragility” That Prevents White Americans from Confronting Racism", by Katy Waldman

Link to the full article here: https://www.newyorker.com/books/page-turner/a-sociologist-examines-the-white-fragility-that-prevents-white-americans-from-confronting-racism?mbid=social_facebook 

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The Black Radical Tradition (PDF)

https://libcom.org/files/The%20Black%20Radical%20Tradition_0.pdf
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Witchcraft and the gay counterculture(with PDF)

Prologo di Brigitte Vasallo all’edizione spagnola di A. Evans, Brujeria y contracultura gay. (Witchcraft and the gay counterculture)

  Traduzione di Julia Prestia 

"Per poter fare una lettura decoloniale e intersezionale di Witchcraft and the gay counterculture dobbiamo, dapprima, strapparci gli occhi e il cervello, sbrogliare il labirinto di intestini esistente nelle nostre viscere, sottrarci i genitali, estirparci lo sguardo, il pensiero, le idee, le credenze, le certezze che indossiamo e, con somma attenzione e affetto, introdurli in un sacco della spazzatura e buttarli nel primo bidone disponibile.
Tornare a casa, respirare profondamente, fregarcene di tutto e di tutt* per tutto il tempo necessario. Fregarcene della spoliazione del corpo e dei godimenti, fregarcene del genere e delle sue regole, fregarcene della monogamia e delle sue meschinità, fregarcene delle gerarchie, dell’accademia, dello stato, della nazione, delle bandiere, fregarcene del mercato e delle leggi, fregarcene degli obblighi mercanteggiati, del sesso strumentalizzato, fregarcene del lavoro stipendiato.
Fregarcene degli eroi salvatori che ci hanno propinato, con le loro stronzate visionarie, fino al giorno d’oggi.
E, fatto questo, aprire il libro e de-leggere. [...]"
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"Witchcraft and the gay counterculture", di A. Evans in PDF:
https://indianaqps.noblogs.org/files/2013/10/Witchcraft-and-the-Gay-Counterculture.pdf
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22.9.18

Catarsi Rivoluzionaria del Soggetto Desiderante

"[...]Pertanto, se è vero che il neoliberismo comporta sempre una dimensione di immaginario (e di desiderio), allora l’unico strumento che abbiamo per non rimanere condannati all’impotenza è di ricercare nuovi immaginari di resistenza[13], poiché «per far nascere il desiderio di trasformare il mondo non serve altro che la potenza di un immaginario»[14]. Interrompere il circolo vizioso che intercorre tra neoliberismo e neofondamentalismo, dunque, diviene possibile solo se siamo disposti a maturare in noi stessi un’imprescindibile capacità di disidentificazione[15] o di disassoggettamento[16] dai regimi di verità consolidati, creando – attraverso una serie di atti collettivi e performativi di rifiuto/sciopero dalle istituzioni, dai generi e dal sistema economico – uno spazio autonomo che sia al contempo una comunità che si sostiene e un luogo di contro-potere. Un luogo sicuro da cui intraprendere un lavoro di teoria e prassi volto – come scrive Gianfranco Rebucini – a liberare i soggetti «dalle configurazioni egemoniche identitarie del presente» e di giungere a «una catarsi rivoluzionaria del soggetto desiderante»[17].
Questa reinvenzione delle pratiche politiche a partire da quella che Dardot e Laval chiamano la logica del comune[18], come può, tuttavia, resistere alla potenza della crisi e alla logica emergenziale del suo dispositivo? Se è indubbiamente vero che spesso dalla “crisi” può nascere la “critica”, cioè quell’«eccedenza di senso in grado di disfare il mondo» e di dar vita a «nuove forme di vivibilità»[19], c’è anche un altro aspetto da considerare e cioè che la crisi è un formidabile strumento di governo della razionalità politica neoliberale. La nozione di “crisi” ai nostri giorni ha perso infatti qualsiasi carattere di transitorietà ed è giunta ormai a indicare uno stato di incertezza permanente che si estende indefinitamente al futuro, legittimando decisioni politiche ed economiche «che di fatto privano i cittadini di qualsiasi possibilità di decisione»[20]. In nome della crisi (dei debiti sovrani) si ricattano, ad esempio, i governi democraticamente eletti – basti pensare al caso greco – ad accettare misure di austerity che trasferiscono risorse dai ceti più poveri a quelli più ricchi e che mettono all’indice chiunque cerchi di contravvenire ai programmi di flessibilizzazione del mercato del lavoro o di tagli al welfare[21]; in nome della crisi (del terrorismo) le liberal-democrazie europee proclamano continuamente nuovi “stati di eccezione” e sfruttano la paura di imminenti attentati per attuare un controllo illimitato sulla popolazione, attraverso la sospensione delle garanzie previste dalle Costituzioni[22]; in nome della crisi (di immaginario) il neoliberismo beneficia ormai di un’incondizionata legittimazione, ponendosi come l’unica e sola modalità razionale di governo dell’esistente[23] e riuscendo paradossalmente, nonostante l’ampio discredito di cui gode presso ampi strati della popolazione, a rafforzarsi sempre di più[24][...]"

da Il coraggio di essere “ideologici” – di Alberto Pinto [su Effimera.org]
Note a margine de Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, a cura di Federico Zappino, ombre corte, Verona 2016
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