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22.9.18

Catarsi Rivoluzionaria del Soggetto Desiderante

"[...]Pertanto, se è vero che il neoliberismo comporta sempre una dimensione di immaginario (e di desiderio), allora l’unico strumento che abbiamo per non rimanere condannati all’impotenza è di ricercare nuovi immaginari di resistenza[13], poiché «per far nascere il desiderio di trasformare il mondo non serve altro che la potenza di un immaginario»[14]. Interrompere il circolo vizioso che intercorre tra neoliberismo e neofondamentalismo, dunque, diviene possibile solo se siamo disposti a maturare in noi stessi un’imprescindibile capacità di disidentificazione[15] o di disassoggettamento[16] dai regimi di verità consolidati, creando – attraverso una serie di atti collettivi e performativi di rifiuto/sciopero dalle istituzioni, dai generi e dal sistema economico – uno spazio autonomo che sia al contempo una comunità che si sostiene e un luogo di contro-potere. Un luogo sicuro da cui intraprendere un lavoro di teoria e prassi volto – come scrive Gianfranco Rebucini – a liberare i soggetti «dalle configurazioni egemoniche identitarie del presente» e di giungere a «una catarsi rivoluzionaria del soggetto desiderante»[17].
Questa reinvenzione delle pratiche politiche a partire da quella che Dardot e Laval chiamano la logica del comune[18], come può, tuttavia, resistere alla potenza della crisi e alla logica emergenziale del suo dispositivo? Se è indubbiamente vero che spesso dalla “crisi” può nascere la “critica”, cioè quell’«eccedenza di senso in grado di disfare il mondo» e di dar vita a «nuove forme di vivibilità»[19], c’è anche un altro aspetto da considerare e cioè che la crisi è un formidabile strumento di governo della razionalità politica neoliberale. La nozione di “crisi” ai nostri giorni ha perso infatti qualsiasi carattere di transitorietà ed è giunta ormai a indicare uno stato di incertezza permanente che si estende indefinitamente al futuro, legittimando decisioni politiche ed economiche «che di fatto privano i cittadini di qualsiasi possibilità di decisione»[20]. In nome della crisi (dei debiti sovrani) si ricattano, ad esempio, i governi democraticamente eletti – basti pensare al caso greco – ad accettare misure di austerity che trasferiscono risorse dai ceti più poveri a quelli più ricchi e che mettono all’indice chiunque cerchi di contravvenire ai programmi di flessibilizzazione del mercato del lavoro o di tagli al welfare[21]; in nome della crisi (del terrorismo) le liberal-democrazie europee proclamano continuamente nuovi “stati di eccezione” e sfruttano la paura di imminenti attentati per attuare un controllo illimitato sulla popolazione, attraverso la sospensione delle garanzie previste dalle Costituzioni[22]; in nome della crisi (di immaginario) il neoliberismo beneficia ormai di un’incondizionata legittimazione, ponendosi come l’unica e sola modalità razionale di governo dell’esistente[23] e riuscendo paradossalmente, nonostante l’ampio discredito di cui gode presso ampi strati della popolazione, a rafforzarsi sempre di più[24][...]"

da Il coraggio di essere “ideologici” – di Alberto Pinto [su Effimera.org]
Note a margine de Il genere tra neoliberismo e neofondamentalismo, a cura di Federico Zappino, ombre corte, Verona 2016
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